Altro che 5% in difesa, per la transizione energetica dell’Ue occorre investire il 6% del Pil l’anno
Alla faccia del sovranismo, per piaggeria verso Trump gli Stati dell’Alleanza atlantica, Italia compresa, si sono impegnati a investire il 5% del Pil sulla difesa militare (e non), dimenticandosi però che il primo fattore per la sicurezza europea passa per l’autonomia strategica sul fronte dell’energia, oggi estremamente carente: solo nell’ultimo anno l’Ue ha speso 375,9 miliardi di euro per l’import di combustibili fossili, andati letteralmente in fumo dopo la combustione.
«La leadership globale dell’Ue nella mitigazione climatica è oggi più importante che mai. Ma azioni ritardate comportano costi più elevati: per questo servono investimenti strategici. I responsabili politici dell’Ue dovrebbero prestare grande attenzione all’accessibilità, all’inflazione energetica e alla sicurezza dell’approvvigionamento», spiega il dg dell’Agenzia internazionale per l’energia rinnovabile (Irena), l’italiano Francesco La Camera, nel presentare il primo Regional energy transition outlook dedicato all’area europea e realizzato in collaborazione con la Commissione Ue.
Il rapporto mostra che un maggiore utilizzo delle rinnovabili migliora anche l’accessibilità economica e la competitività, sfruttando fonti energetiche interne e a basso costo (al contrario del nucleare). Man mano che le rinnovabili si espandono, i prezzi all’ingrosso tendono infatti a diminuire, riflettendo costi operativi inferiori e una minore esposizione alle fluttuazioni dei combustibili fossili. Con investimenti mirati, un sistema energetico completamente decarbonizzato può garantire una maggiore stabilità dei prezzi: complessivamente, dagli impianti rinnovabili alle infrastrutture, la transizione energetica dell’Ue richiederà 1.000 miliardi di euro all’anno entro il 2050, circa il 6% del Pil dell’Ue nel 2024. In questo caso, risorse che non vanno in fumo una volta bruciato il combustibile, ma alimentano lo sviluppo economico del continente.
«L’economia dell’Ue potrebbe crescere del 2% (aggiuntivo, ndr) all’anno fino al 2050 e il numero di posti di lavoro nel settore energetico potrebbe salire fino a quasi 8 milioni entro questo decennio – snocciola La Camera – Puntando sulle rinnovabili a basso costo, la transizione può rafforzare l’indipendenza energetica e garantire energia sostenibile e conveniente a imprese, famiglie, comunità e cittadini in tutta l’Unione europea».
Secondo il rapporto, per raggiungere questi risultati la capacità annuale aggiuntiva da fonti rinnovabili nell’Ue dovrebbe salire a 122 gigawatt (GW) entro il 2050 – circa il doppio rispetto ai livelli attuali. Guardando al più breve termine, si tratta di arrivare al 2030 con una capacità rinnovabile totale di 1.247 GW, quasi il doppio rispetto ai 640 GW installati a fine 2023; installare almeno 46 GW di capacità di accumulo a batterie per aumentare la flessibilità del sistema (contro i 6 GW presenti a fine 2023); diffondere 51 milioni di pompe di calore negli edifici, con una crescita annua del 7% dai 21,5 milioni già installati nel 2023; espandere la mobilità elettrica, raggiungendo 100 milioni di veicoli elettrici entro il 2030 (dagli attuali circa 12 milioni), insieme a una solida rete di ricarica.
«Per combattere il cambiamento climatico e rafforzare la nostra resilienza servono più rinnovabili, e più in fretta – commenta Dan Jørgensen, Commissario Ue per l’Energia e l’Edilizia – Le rinnovabili prodotte in casa ci renderanno più indipendenti dai combustibili fossili. Creeranno nuovi posti di lavoro e stimoleranno l’innovazione. È una vittoria per il clima e per l’economia».
