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Eppure da ministro, nel 2017, aveva stabilito l’addio al carbone per quest’anno

Calenda come Salvini, vuole prolungare la vita alle centrali a carbone nell'attesa dell'ipotesi nucleare

Il leader di Azione spera nel ritorno dell’energia dall’atomo, ma intanto si affida alla più inquinante delle fonti fossili fino al 2038
 |  Nuove energie

L’Italia deve fare spazio al nucleare per liberarsi dal giogo dei combustibili fossili! O forse l’attesa per l’energia dall’atomo prolunga tale dipendenza? La cronaca offre uno spunto per rispondere.  

Nel 2017 l’allora ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, annunciò che l’Italia avrebbe detto addio alle centrali carbone entro il 2025, ovvero quest’anno: fu una svolta formalizzata nella Strategia energetica nazionale che resiste ancora oggi, in quanto la normativa prevede la dismissione entro quest’anno delle centrali a carbone ancora formalmente attive (Brindisi e Civitavecchia) ad eccezione di quelle situate in Sardegna (Portovesme e Fiume Santo), che verranno chiuse definitivamente nel 2028, in attesa di alcuni importanti interventi infrastrutturali a partire dal completamento del Tyrrhenian Link, che consentirà gli scambi elettrici tra Sicilia, Sardegna e il resto d’Italia.

Oggi sempre Carlo Calenda, in veste di leader politico di Azione, salda le storiche ambizioni del proprio partito sul rilancio dell’energia nucleare al negazionismo climatico, proponendo il prolungamento del più inquinante e climalterante tra i combustibili fossili: sempre lui, il carbone.

Calenda interviene oggi sul quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore, per illustrare i contenuti di un odg presentato da Azione per impegnare il Governo a rinviare il phase out dal carbone che lui stesso aveva deciso: «Abbiamo avuto una lunga interlocuzione con il governo e con Fratelli d’Italia per trovare una soluzione al fine di dare alle imprese che in Italia consumano circa 100 TWh di energia all’anno un prezzo che sia sganciato dal prezzo del gas e che sia attorno a 60-70 euro a MWh per avere più competitività». La proposta è quella di ritardare il phase out dal 2025 al 2038, in linea con le tempistiche del Governo che prevedono di realizzare i primi impianti nucleari Smr (0,4 GW) a metà del prossimo decennio (mentre solo nell’ultimo anno l’Italia ha installato pur insufficienti 7,48 GW di impianti rinnovabili).

Prima di Calenda, già il ministro Salvini – a sua volta emulo di Trump – ad aprile aveva proposto di rinviare la chiusura delle centrali a carbone, sempre con la pretesa di abbassare il costo dell’elettricità. Ad aprile la risposta è delle principali associazioni ambientaliste (Wwf, Greenpeace, Legambiente e Kyoto club) è stata un secco «no grazie», affermando che «i lobbisti del carbone (per lo più di provenienza russa) non hanno perso le speranze e hanno approfittato di qualche sfarfallamento dei prezzi del gas per tornare alla carica, forti di un’analisi quantomeno discutibile e, soprattutto, titillando gli interessi delle due aziende partecipate (Eni ed Enel) che per ragioni diverse ora propongono il rinvio. Questo può succedere solo quando non c’è un Governo e dei tecnici che attuano davvero le politiche messe su carta».

Dove invece un altro Governo di estrema destra – quello degli Usa a guida Trump – ha emanato una serie di ordini esecutivi volti a scongiurare la chiusura delle centrali a carbone e a incoraggiare il riavvio delle unità recentemente chiuse, l’Institute for energy economics and financial analysis (Ieefa) ha già emesso il suo verdetto: poche, se non nessuna, delle 102 centrali a carbone chiuse negli ultimi quattro anni negli Usa – impianti con un’età media di 56 anni – sono candidate affidabili per un riavvio. Inoltre, il piano di riavvio delle centrali a carbone ignora il fatto che la maggior parte degli impianti ancora in funzione sta funzionando ben al di sotto della propria capacità: «In parole povere, il riavvio delle centrali a carbone non ha alcun senso economico», conclude la Ieefa.

Intervenendo sulle nostre colonne, l’economista Michele Governatori, responsabile Relazioni esterne - Energia del think tank climatico Ecco ha aggiunto che «un megawattora a carbone emette grosso modo il triplo dei gas-serra di uno da ciclo combinato a gas (che già siamo impegnati a usare sempre meno a vantaggio delle rinnovabili). Se quindi dal punto di vista degli obiettivi climatici si tratta di ipotesi evidentemente incompatibili, da quello economico altrettanto: l’elettricità a carbone non è competitiva in un contesto di carbon tax come l’Ets europeo con i prezzi che esprime ormai da molti anni».

Oggi, Calenda propone di aggirare il problema affermando che «buona parte dei proventi delle aste Ets verrebbe restituita in gran parte alle imprese come avviene in Germania, e l’energia prodotta verrebbe ceduta a un prezzo predeterminato attraverso Ppa alle imprese». Il tutto, anche al di là della concreta fattibilità dell’operazione, senza alcun accenno all’impatto delle relative emissioni di gas serra sulla crisi climatica in corso: eppure in Italia i danni da eventi meteo estremi sono già costati 135 miliardi di euro dal 1980 e 38mila morti dal 1993.

Vale la pena aggiungere che i dati disponibili a livello internazionale, da quelli della banca d’affari Lazard all’agenzia governativa australiana Csiro fino all’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) mostrano che i costi delle rinnovabili sono e si manterranno più bassi rispetto al nucleare. Il necessario disaccoppiamento del costo dell’elettricità da quello del gas si può e si dovrebbe fare, come propone Calenda, dando progressivamente spazio ai contratti a lunga durata (come i Ppa): la buona notizia? Quelli per il fotovoltaico sono già attorno a 70 €/MWh. Senza emissioni di gas serra coi relativi danni, economici e ambientali, al contrario del carbone. Basterebbe fare spazio agli impianti sul territorio, mentre il Governo Meloni ha appena fatto ricorso al Consiglio di Stato sulle aree idonee, allungando ulteriormente i tempi.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.