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Marangoni (Althesys): «Politiche troppo caute sulle rinnovabili non abbasseranno i prezzi dell'energia elettrica per i consumatori»

Stati generali della green economy, la maggioranza silenziosa in Ue e Italia non vuole retromarce

Ronchi: «Ben l’85% dei cittadini ritiene che il cambiamento climatico sia un problema importante e il 77% ritiene che i danni che provoca siano superiori agli investimenti necessari per la decarbonizzazione»
 |  Green economy

Dietro il paravento della “semplificazione”, la Commissione europea sta annacquando le politiche sul Green deal che ha messo in campo sin dal 2019, mentre il Governo Meloni procede ancora più speditamente sulla stessa strada senza alcun bisogno d’equilibrismi: la contrarietà alla transizione ecologica è sin dall’inizio un marchio di fabbrica dell’esecutivo in carica.

Smantellare le politiche sulla green economy rappresenta una risposta alle pressioni dell’estrema destra, che dopo i migranti ha individuato negli ambientalisti il nuovo nemico antropologico; del resto è più facile rispondere alla legittima frustrazione dei cittadini – che in Italia hanno un salario reale oggi più basso del 1990 – cavalcando le paure verso il necessario cambiamento del modello economico dominante, anziché andare a trovare le risorse lì dove sono disponibili (i 3.600 europei più ricchi hanno la stessa ricchezza dei 181 milioni più poveri).

Ma innestare la retromarcia sul Green deal non conviene (quasi) a nessuno, e la stragrande maggioranza dei cittadini questo lo sa. Solo che non ha voce. «Una recente indagine di Eurobarometro, in linea con altre rilevazioni, ha registrato che ben l’85% dei cittadini europei ritiene che il cambiamento climatico sia un problema importante e che il 77% ritiene che i danni che provoca siano superiori agli investimenti necessari per la decarbonizzazione – osserva Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi presidente della Fondazione sviluppo sostenibile – Visti questi livelli di consenso come mai si registra in Europa un’offensiva eco-scettica? Un’ampia indagine pubblicata su ‘The Guardian’ documenta che la larga maggioranza favorevole a combattere la crisi climatica, rimane una ‘maggioranza silenziosa’ perché ritiene che le altre persone non siano ugualmente interessate e si sente quindi una minoranza».

È a partire da questa relazione introduttiva che, il 4 e 5 novembre, per la 14esima volta di dipaneranno a Ecomondo (Rimini) gli Stati generali delle green economy, promossi dal Consiglio nazionale della Green economy e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Un’occasione preziosa per mettere in prospettiva l’attuale assetto geopolitico (si può registrarsi alla kermesse qui, qui invece l’agenda dei lavori).

Ad esempio, perché gli Usa di Donald Trump sono diventati il primo baluardo del negazionismo climatico? C’entra il fatto che gli Stati Uniti siano oggi il maggiore produttore mondiale di petrolio, oltre che il maggiore esportatore mondiale di gas, e con Trump alla guida si stiano ancorando all’economia fossile anziché guidare la transizione ecologica. I consumi di gas negli Stati Uniti sono cresciuti da 678 miliardi di metri cubi nel 2010 a ben 940 miliardi di metri cubi nel 2023: il triplo di quelli dell’Unione Europea che ha 111milioni di abitanti in più. La retromarcia sulle misure climatiche del presidente Trump, sostenuta dai consistenti interessi americani dei fossili, ha però basi fragili perché la crisi climatica non è un’opinione e colpisce anche gli Usa e perché espone l’economia americana ai costi aggiuntivi di una rincorsa che sarà necessaria per recuperare i ritardi generati oggi.

La Cina invece, nonostante sia ancora il principale emettitore mondiale di gas serra, rappresenta oltre il 40% della capacità installata globale di energia eolica e solare fotovoltaica, produce più della metà delle auto elettriche presenti oggi sui mercati del mondo e oltre l'80% di moduli solari fotovoltaici e di celle per batterie di veicoli elettrici. Le esportazioni cinesi in Europa, in forte crescita, possono da una parte consentire alla cittadinanza e alle imprese europee di accedere a prodotti di buona qualità e prezzi contenuti e, dall’altra, possono mettere in difficoltà produzioni europee grazie ai consistenti aiuti di stato cinesi e a norme ambientali meno efficaci, che consentono, per esempio, ancora un uso massiccio di carbone per produrre elettricità. L’Ue di rimando dovrebbe dunque investire in maggiori politiche pubbliche a sostegno della transizione, anziché innestare la retromarcia come sta parzialmente facendo ormai da mesi.

L’Europa, particolarmente esposta e vulnerabile agli impatti della crisi climatica, importatrice di costose grandi quantità di petrolio e di gas, ha un interesse strategico alla decarbonizzazione ed ha raggiunto risultati importanti: tra il 1990 e il 2023, per esempio, ha ridotto le emissioni di gas serra del 37% e nel 2024 ha generato il 47,4% dell’energia elettrica con le rinnovabili. E al contempo, dal 1990 il Pil Ue è cresciuto del 68%.

L’Italia si è impegnata decisamente meno nella transizione ecologica nel corso degli ultimi decenni, dato che dal 1990 al 2023 le emissioni sono calate solo del 26,4%, ma avrebbe tutto da guadagnare nell’accelerare, come emerso da ultimo nell’incontro “Sistemi di sostegno alle energie rinnovabili in Italia: dal Decreto Fer-x al Decreto Fer-z”, organizzato all’Energyear 2025, l’evento internazionale che si è svolto a Milano e che ha visto confrontarsi alcune delle maggiori imprese e utility energetiche italiane - come Enel, Edison, Erg, Eni Plenitude - davanti a un pubblico di quasi mille operatori della filiera energetica.  

L’obiettivo era mettere a confronto le aziende sulle regole e sui meccanismi adottati in vista degli obiettivi al 2030. Alessandro Marangoni (Althesys) ha introdotto la discussione evidenziando la fase di vivacità del mercato, preso tra le aste Macse e quelle del Fer-X, ma anche la complessità delle policy che vedono in campo o in attesa diversi nuovi strumenti: Fer-X, Fer-X Nzia, Energy release, Fer2, e così via. Arrivando a una conclusione semplice: «Studi recenti fatti da Althesys mostrano che nell’ottica del sistema Italia, il risparmio sulle tariffe che il policy maker punta ad ottenere sarebbe più che assorbito dalla mancata discesa dei prezzi elettrici che le rinnovabili possono portare per i consumatori. In altri termini, politiche troppo caute sulle rinnovabili non abbasseranno i prezzi dell'energia elettrica per i consumatori».

Già oggi infatti le rinnovabili stanno abbassando la bolletta dei cittadini, e non a caso il 93% degli italiani vuole che il Governo Meloni dovrebbe agire per la crescita delle energie rinnovabili. Che invece pensa a tutt’altro: carbone e nucleare.

Redazione Greenreport

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