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In Italia quest’anno 376 eventi meteo estremi, sono aumentati del 526% dal 2015

Ciafani (Legambiente): «Continuiamo a riconcorrere le emergenze, invece che lavorare su piani di mitigazione e di adattamento e prevenzione. Al Governo Meloni chiediamo di mettere la crisi climatica al centro della sua agenda politica, non sono più ammessi ritardi»
 |  Crisi climatica e adattamento

L’amaro bilancio di fine anno tracciato dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente documenta un’Italia dove la crisi climatica continua ad accelerare indisturbata: nel 2025 gli eventi meteo estremi che hanno colpito lo Stivale sono 376, in crescita del 5,9% rispetto al 2024 e soprattutto del 526% rispetto al 2015.

Il 2025 diventa così il secondo anno più intenso subito dal Paese sotto il profilo degli eventi meteo estremi, alle spalle del solo 2023 coi suoi 383 eventi estremi. Negli ultimi dodici mesi ci sono stati soprattutto allagamenti da piogge intense (139), danni da vento (86) ed esondazioni fluviali (37), e a preoccupare è il forte aumento dei casi legati a temperature record, (+94%) rispetto allo scorso anno, quello delle frane da piogge intense (+42%) e danni da vento (+28,3%).

Gli impatti sono come sempre trasversali al Paese, ma concentrati soprattutto in alcune aree geografiche. Nel 2025 ad essere il più colpito è stato soprattutto il Nord Italia, seguito da Sud e Centro. Tra le città, Genova (12 eventi meteo estremi), Milano (7) e Palermo (7). A livello regionale, le regioni ad aver subito gli impatti maggiori degli eventi meteo estremi sono state: Lombardia con 50 casi, Sicilia con 45 e la Toscana con 41.

Ciò avviene in un contesto in cui i danni subiti nel Paese da ondate di calore, siccità e alluvioni nel 2025, secondo un recente studio anticipato dalla Banca centrale europea (Bce) quest’estate, ammontano a 11,9 miliardi di euro e in futuro, con una proiezione al 2029, saliranno a 34,2 miliardi di euro. Allargando il quadro d’osservazione all’Indice di rischio climatico (Climate risk index) aggiornato dall’ong Germanwatch, nel periodo 1993-2022 l’Italia ha subito 38mila morti (soprattutto nel 2003 e nel 2022) e danni per 60 miliardi di dollari da eventi meteo estremi. Ancora, l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) afferma che nel nostro Paese i danni economici da eventi meteo estremi – resi più frequenti e intensi dalla crisi climatica in corso – ammontano a 135 miliardi di euro tra il 1980 e il 2023, conto che sale a 235 miliardi di euro negli ultimi 50 anni ampliando il quadro anche al rischio sismico.

Per evitare nuovi scenari da incubo è fondamentale avviare una governance nazionale, attuare il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) approvato a fine 2023 e ancora fermo al palo, stanziando le risorse economiche necessarie che ancora oggi mancano per “dare gambe” alle 361 misure da adottare su scala nazionale e regionale. Ad oggi la sua mancata attuazione rallenta a cascata la redazione di Piani locali di adattamento al clima. Altrettanto urgente è istituire con decreto l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, composto dai rappresentanti delle Regioni e degli Enti locali per l’individuazione delle priorità territoriali e settoriali e per il monitoraggio dell’efficacia delle azioni di adattamento.

Serve dunque un Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica, di cui si parla sempre dopo ogni siccità o alluvione, per dimenticarsene subito dopo. Basti osservare che per fare davvero i conti con l’acqua – in base alle stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) – servirebbero all’Italia investimenti per 10 mld di euro aggiuntivi l’anno, a fronte dei 7 che il sistema-Paese finora riesce a stanziare. Volendo limitare il conto ai soli investimenti incentrati sulla lotta al dissesto idrogeologico, si scende comunque a 38,5 miliardi di euro complessivi in un decennio (in linea con gli investimenti stimati già nel 2019 per realizzare gli 11mila cantieri messi in fila dalla struttura di missione "Italiasicura", che ha lavorato coi Governi Renzi e Gentiloni).

«Continuiamo a riconcorrere le emergenze, invece che lavorare su piani di mitigazione e di adattamento e prevenzione – commenta il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani – Al Governo Meloni chiediamo di mettere la crisi climatica al centro della sua agenda politica, attivandosi per lo stanziamento delle risorse necessarie per attuare al più presto il Pnacc, che ad oggi resta purtroppo un piano sulla carta, che sono mancate anche nella legge di bilancio in approvazione; approvando il prima possibile una legge contro il consumo di suolo, che non si combatte fermando il fotovoltaico a terra ma vietando poli logistici, data center, nuove infrastrutture stradali, aree residenziali o produttive sui suoli agricoli; istituendo l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Non sono più ammessi ritardi».

E non solo sul fronte dell’adattamento, anche su quello della mitigazione della crisi climatica in corso, che si fa principalmente sostituendo l’impiego dei combustibili fossili – che quest’anno l’Italia ha importato pagando 46 miliardi di euro, a proposito di autonomia strategica – con quello delle fonti rinnovabili. L’Europa è particolarmente a rischio in quanto continente che si surriscalda più di tutti, a un ritmo doppio rispetto alla media globale. E l’Italia già nel 2024 ha registrato un’anomalia termica di +3.22°C rispetto alla media del periodo 1850-1900 (preso dall'ultimo Ipcc come riferimento pre-industriale). In un mondo ad alte emissioni non c’è adattamento che tenga, eppure le installazioni di impianti rinnovabili – per raggiungere i pur timidi obiettivi del Pniec nazionale – dovrebbero essere quattro volte più veloci: la disinformazione e i paletti normativi alimentati dal Governo Meloni frenano l’installazione degli impianti. Possiamo permetterci di gettare la spugna? Per rispondere con le parole del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, dopo la fallimentare Cop sul clima conclusasi da poche settimane a Belém: «La Cop30 è finita, il nostro lavoro no. A chi ha marciato e negoziato: non arrendetevi».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.