Il ministro Foti alla Lucart: l'economia circolare della carta accelera col Pnrr
È stata presentata nel cuore del distretto cartario lucchese, il primo in Europa per il comparto tissue – quello dei prodotti a uso domestico, sanitario e igienico –, la III edizione del rapporto Nomisma incentrato sui benefici economici, ambientali e territoriali dei “progetti faro” co-finanziati dal Pnrr. L’appuntamento è stato organizzato da Comieco nello stabilimento di Diecimo (Borgo a Mozzano) della Lucart, non a caso: nella sede del GreenHero della carta toscana sta nascendo uno dei più innovativi tra questi impianti – il taglio del nastro è atteso alla fine del primo trimestre 2026 –, tant’è che ha richiamato l’attenzione tra gli altri del ministro al Pnrr, Tommaso Foti.
Per Foti quello in realizzazione alla Lucart più che un impianto è «un fiore all’occhiello». Potrà lavorare oltre 20mila tonnellate annue di rifiuti, carta da macero ma soprattutto poliaccoppiati diversi dal Tetra Pak, imballaggi multistrato di carta, plastiche e alluminio, particolarmente difficili da gestire; da questi poliaccoppiati, Lucart estrarrà le fibre di cellulosa per riciclare sotto forma di carta, e al contempo invierà le frazioni plastiche a industrie di settore per essere valorizzate. Saper fare rete è il valore aggiunto di questo progetto Pnrr, che mette in collaborazione Lucart con Revet – il principale hub del riciclo dell’Italia centromeridionale, con sede a Pontedera, da cui arriveranno a Diecimo anche flussi di rifiuti già selezionati – e GV Macero.
Questa collaborazione permette di alzare ulteriormente l’asticella nel riciclo dei poliaccoppiati: da alcuni anni la loro frazione più nobile, quella del Tetra Pak, viene già valorizzata da Lucart insieme a Cpr System – cooperativa ferrarese leader in Italia nel comparto imballaggi in plastica e pallet per il settore agroalimentare –, che con la multinazionale toscana ha infatti dato vita alla nuova società Newpal spa, che si dedica allo stampaggio di pallet di alta qualità realizzati in plastica riciclata a partire dal Tetra Pak.

Come spiegato dal dg di Comieco, Carlo Montalbetti, in tutta Italia grazie ai nuovi impianti che stanno sbocciando tra i “progetti faro” sarà possibile riciclare 600mila tonnellate annue di imballaggi cellulosici oggi indirizzate prevalentemente a discarica; una sfida anche sul fronte del progressivo miglioramento della raccolta differenziata di filiera – ancora molto disomogenea lungo lo Stivale – per garantire i flussi di approvvigionamento al riciclo.
Quello dei “progetti faro” del Pnrr è un modello di partenariato pubblico-privato di successo: le imprese destinatarie dei fondi Pnrr sono 48, il contributo pari a 94 mln di euro e il totale degli investimenti 282 mln di euro, dunque dai privati è arrivato circa il doppio degli investimenti pubblici. Imprese complessivamente sane, che investivano anche prima del Pnrr, con quest’ultimo a fungere da moltiplicatore degli investimenti.
E si potrebbe fare ancora un passo avanti: in questi tre anni 10 imprese destinatarie di complessivi 11,5 milioni di euro hanno rinunciato agli investimenti, e data la scadenza 2026 sarebbe utile ridistribuirli pro-quota alle altre imprese dei “progetti faro” – nuove progettualità ormai sono impossibili, così da raggiungere migliori risultati sia ambientali (maggiori flussi a riciclo e nin discesa a discarica, coi relativi costi) sia socioeconomici (in termini industriali e occupazionali). La possibilità di trovare una quadra c’è: in collegamento dal Mase, il capo dipartimento dell’Unità di missione al Pnrr – Fabrizio Penna – ha preso l’impegno di provare a recuperare questi 11,5 mln di euro e metterli a disposizione delle imprese.
A contraltare la capo dipartimento Sviluppo sostenibile del Mase, Laura D’Aprile, ha sottolineato come la filiera di carta e cartone sia quella che subito minore rinunce ai fondi Pnrr rispetto alle altre dei “progetti faro” ma che al contempo resta un nodo di fondo da sciogliere: le difficoltà nell’accelerare gli iter autorizzativi per i nuovi impianti – si parli di gestione rifiuti come di produrre energia rinnovabile – sono un problema per la competitività dell’Italia.

Eppure ci sarebbero già oggi elementi di politica industriale, nella totale disponibilità del nostro sistema-Paese, che potrebbero essere utilmente messi in campo per rispondere contemporaneamente a più di una delle criticità che affliggono la filiera cartaria: uno di questi è autorizzare nuovi impianti di recupero energetico per i “rifiuti da rifiuto” che oggi vanno in discarica.
Le cartiere sono di per sé impianti di riciclo – in Italia le carte da riciclare utilizzate rappresentano circa il 70% della materia prima fibrosa, mentre nell’imballaggio il tasso di riciclo è già oltre l’85% – ma da ogni processo industriale esitano nuovi scarti da gestire, e quello cartario non fa eccezione (Lucart ad esempio genera 0,242 ton di rifiuti per tonnellata di carta prodotta). Questi scarti sono costituiti principalmente da pulper e fanghi di cartiera, direttamente derivanti dal processo di produzione della carta e dal trattamento dei reflui; dai fanghi di cartiera si potrebbe ottenere energia rinnovabile tramite biodigestori anaerobici, mentre per il pulper – in attesa di futuribili impianti di riciclo chimico o ossidazione termica – restano i termovalorizzatori, che incontrano però costanti resistenze Nimby e Nimto. Senza impianti di recupero energetico disponibilità in prossimità delle cartiere, però, la diretta e insostenibile conseguenza è dirigere i "rifiuti da rifiuti" verso le discariche o peggio in impianti esteri.
Nel suo intervento conclusivo, Foti ha ammesso l’utilità di nuovi termovalorizzatori pur senza indicare soluzioni su come superare le sindromi Nimby e Nimto che ne bloccano la realizzazione. Il ministro si è scagliato invece per l’ennesima volta contro il Green deal europeo definendolo «un manifesto ideologico che porterà a deindustrializzare l’Europa», in linea con la retorica portata avanti dal Governo Meloni in sintonia con l’alleato nordamericano Trump. Qualcuno avvisi il ministro – peraltro intervenuto nella sede di un’industria, quella Lucart, che ha appena annunciato il rafforzamento dei propri obiettivi di decarbonizzazione – che i nuovi “incentivi” appena definiti dal decreto Fer X del suo Governo sulle fonti rinnovabili prevedono un prezzo medio da 72,851 €/MWh per l’eolico e 56,825 €/MWh per il fotovoltaico, quando il prezzo nazionale all’ingrosso dell’elettricità (Pun Index Gme) veleggia a 111,04 €/MWh. Imprese e famiglie con le rinnovabili risparmiano, ma il Governo Meloni non le vuole.
