Elettricità, per abbassare le bollette parte dei costi possono essere coperti dalla fiscalità generale
L’alto costo dell’energia che pesa sulle tasche delle famiglie e delle imprese italiane è uno dei grandi nodi irrisolti del Governo Meloni, anche perché le tecnologie più adeguate ad affrontarlo alla radice – quelle per produrre elettricità da fonti rinnovabili – accelerano nel mondo ma frenano nel Belpaese, per una mole crescente di disinformazione e ostacoli normativi.
Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), infatti, raggiungere gli obiettivi al 2030 sulle rinnovabili permetterebbe all’Italia di veder calare di due terzi il prezzo all’ingrosso dell’elettricità. Ma in bolletta ci sono altre tre componenti oltre il costo all’ingrosso: i costi di commercializzazione e vendita (costi fissi, indipendenti dalle quantità consumate e stabiliti dai fornitori), gli oneri di sistema e la spesa per il trasporto e la distribuzione (stabiliti dall’autorità per l’energia, l’Arera), e gli oneri fiscali. È dunque possibile agire anche su altri fronti, oltre ad accelerare sulle rinnovabili, per abbassare le bollette.
Il think tank europeo Ember osserva che in tutta l’Ue, in media, circa metà della bolletta per gli utenti domestici è assorbita dai costi all’ingrosso; in Italia dove gli impianti di riferimento sono a gas si arriva al 57% – solo Austria, Lussemburgo e Irlanda hanno percentuali maggiori –, mentre il 18% è legato ai costi delle reti di trasmissione e distribuzione, il 16% agli oneri di sistema e altre tasse, il 9% all’Iva.

La proposta del think tank è dunque quella di intervenire sugli oneri di sistema (in parte trasferendoli sulla fiscalità generale, in parte dalle bollette dell’elettricità a quelle del gas), ridurre l’Iva al 5% e finanziare i costi di rete con fondi statali anziché con le bollette. Si tratta di una proposta dal tenore ambientalista, dunque favorevole a impiegare strumenti di politica industriale per accelerare la decarbonizzazione, che vede punti di contatto con l’approccio liberista proposto dall’Osservatorio italiano dei conti pubblici.
In questo caso l’Osservatorio si concentra sulla componente Asos che finanzia gli incentivi alle rinnovabili, e in particolare sui generosissimi Conti energia risalenti all’inizio del XXI secolo (e che comunque sono attesi verso l’azzeramento attorno al 2030) che hanno permesso di abbattere i costi della tecnologia fotovoltaica, vantaggio di cui poi l’Italia curiosamente non ha approfittato tirando il freno a mano sulle nuove installazioni.
«Gli oneri di sistema pesano per circa 11 miliardi e non è pensabile che vengano tutti trasferiti sulla fiscalità. Tuttavia un modesto aumento delle imposte generali (ad es. Irpef) può rappresentare un’alternativa preferibile», dichiarano nel merito gli autori dell’Osservatorio (Giampaolo Galli, Carlo Stagnaro, Fabio Martino).
Nonostante le difficoltà che comporterebbe uno spostamento sulla fiscalità generale – si pensi ad esempio alla cronica incertezza sul gettito dovuta all’evasione –, un approccio simile era già stato proposto nel 2019 dalle imprese di settore (che stimavano un alleggerimento delle bollette del 20%), è stato riportato alla ribalta della cronaca a giugno dall’ormai ex presidente Arera Besseghini, e sul tema è stata avanzata anche una proposta di referendum.
A essere fermo è semmai il dibattitto politico, eppure varrebbe la pena approfondire i pro e i contro di una simile operazione. È paradossale che a non farlo sia un Governo grande fan del nucleare, come quello a guida Meloni: come insegnano in Francia i costi di questa tecnologia – ben più onerosa rispetto alle rinnovabili – non emergono in bolletta solo per l’ingente intervento di politica industriale dello Stato, che se ne fa carico sia attraverso prezzi politicamente imposti all’elettricità venduta, sia rinazionalizzando nel 2023 Edf, la società francese che gestisce le centrali nucleari: nel 2005 Edf fu quotata in Borsa a circa 33 euro per azione, mentre nel giugno di 18 anni dopo è uscita dalla Borsa con un’Opa dello Stato francese che ha rilevato le azioni a circa 12 euro, un valore più che dimezzato.